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Arjola e Emanuele, la coppia dei sogni che lotta per Tokyo 2021

"Nostro figlio la medaglia più bella, ora vogliamo quella delle Paralimpiadi"


da La Repubblica
- (12 aprile 2021)

TUTTI li conoscono come "La Coppia dei Sogni" e la loro storia somiglia davvero alla sceneggiatura di un film. Arjola Dedaj e Emanuele Di Marino - non vedente lei e piede torto di III grado lui - si sono conosciuti grazie allo sport e insieme, negli anni, hanno condiviso ostacoli e soddisfazioni - a partire dal vestire i colori azzurri ai Giochi Paralimpici di Rio de Janeiro - fino al coronamento del sogno più grande: la nascita del loro primo figlio, Leo. "Certo, le difficoltà non sono mancate", raccontano. "Nel mondo dello sport dilettantistico c'è ancora tanto da fare e lavorare per permettere alle donne, ma anche ai padri, di iniziare un progetto di famiglia senza dover rinunciare a nulla, sentendosi entrambi tutelati e rispettati pienamente".

Arjola, non vedente dall'età di tre anni, è arrivata in Italia 20 anni fa a bordo di un barcone proveniente dall’Albania, e Emanuele, prima di affermarsi come atleta, ha lottato contro tutti coloro che gli ripetevano che nella vita non avrebbe mai potuto fare la cosa che invece ama di più, ovvero correre. Oggi entrambi fanno parte della Nazionale Italiana Paralimpica di Atletica Leggera e i tempi bui sembrano finalmente alle spalle. Il loro sodalizio rappresenta per la comunità, sportiva e non, un esempio di amore e sostegno reciproco. Perché, si sa, nessuno si salva da solo.

<img src="https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2021/04/12/181019753-dcd9a332-698b-4024-a692-790a8e6ca07c.jpg" alt=""> Arjola Dedaj e Emanuele Di Marino

Avete entrambi una storia particolare: quali sono stati i momenti più duri?

A: "Ema a fine agosto 2020 ha avuto un infortunio grave e ha subìto un intervento chirurgico, seguendo poi una riabilitazione molto lunga. Lui è sempre stato il mio pilastro per gli allenamenti e quando non può esserci la cosa mi destabilizza non solo a livello organizzativo ma emotivo: è il mio mentore, il mio maestro, colui che mi consiglia e che mi ha sempre seguito in mancanza dell'allenatore, e la seconda metà del 2020 è quindi stato il periodo più difficile e lungo. Trovare le motivazioni per mantenere alto il livello in vista di quest'anno non è stato facile, anzi. Col tempo abbiamo trovato la forza di spingere forte dal basso del tunnel per risalire, con grinta, determinazione, coraggio e un pizzico di fortuna".

E: "I momenti più difficili per me sono legati all'inizio del mio percorso sportivo, per via dei pregiudizi e dei giudizi delle persone che mi vedevano allenarmi. Devo tanto ai miei genitori che con passione, determinazione e impegno mi hanno accompagnato in un percorso che mi ha permesso di fare qualcosa che da piccolo mi era stato detto sarebbe stato impossibile: correre. Difficilissimo è stato anche il rientro dall'infortunio avuto ad agosto. Per risollevarmi ci sono voluti tempo, dedizione e lavoro intenso, fatto praticamente da solo, con la competenza delle persone che mi hanno seguito, che sono ormai diventate amiche. Oltre a questo, ovviamente, il supporto di Arjola e di Leo è stato fondamentale".

Che significa essere una coppia e vivere insieme il mondo paralimpico, tra allenamenti e gare?

"Le coppie non sono viste sempre di buon occhio, si pensa spesso che stando insieme ci si possa distrarre e quindi togliere tempo e attenzione agli allenamenti o alle gare. Per noi che viviamo lo sport professionalmente tutti i giorni questo invece rappresenta un valore aggiunto e uno stimolo costante. Certo, l'organizzazione familiare con un bimbo piccolo non è per niente facile e per questo dobbiamo ringraziare tantissimo i nostri genitori, che cercano sempre di darci una mano per permetterci di allenarci insieme".

Vi siete ribattezzati "La coppia dei sogni": perché?

"Si tratta di un progetto nato prima delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro, che aveva come obiettivo quello di partecipare alla competizione insieme. Con tanto impegno ci siamo riusciti, nonostante le selezioni davvero difficilissime e i posti fossero molto pochi. Il nostro prossimo sogno è quello, ovviamente, di partecipare alle Paralimpiadi di Tokyo in Giappone insieme, soprattutto considerando le difficoltà che abbiamo avuto in questo quadriennio. Oltre a quello sportivo il nostro progetto ha anche, e soprattutto, un valore sociale; cerchiamo di far conoscere la disabilità e di far avvicinare quante più persone possibili al mondo paralimpico. Nella convinzione che attraverso lo sport si possa migliorare non solo fisicamente ma anche a livello sociale e personale".

Quali sono state le soddisfazioni più grandi, finora, a livello sportivo?

"Sicuramente una medaglia rappresenta il coronamento del sogno per ogni atleta. Riuscire a salire sul podio porta con sé innumerevoli emozioni che sono anche difficili da spiegare. I mondiali di Londra del 2017, ad oggi, restano l'evento all'interno del quale abbiamo ottenuto maggiori soddisfazioni, con ben 3 medaglie in due (Arjola oro nel lungo ed Emanuele argento nella staffetta 4x100 e bronzo nei 400 mt, n.d.r)".

<img src="https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2021/04/12/181108044-39a3f7b9-d031-45f6-994e-5ca00b7f1f0d.jpg" alt=""> Emanuele Di Marino e Arjola Dedaj

Quali invece le delusioni più brucianti?

"Le delusioni nello sport fanno parte del percorso di qualsiasi atleta. Il 2019, per entrambi, è stato un anno molto faticoso, probabilmente frutto di dinamiche familiari che, con la crescita di un bambino, si sono modificate. Nonostante questo, però, abbiamo portato a casa un quarto e sesto posto ai mondiali di Dubai 2019, appena un anno dopo la nascita di Leo. Anche il 2020 è stato un anno difficile sia dal punto di vista sportivo che, ovviamente, personale, a causa della pandemia che ha colpito tutto il mondo, un anno in cui abbiamo dovuto completamente riorganizzare la nostra vita in funzione della mancanza dei fondi necessari alla prosecuzione delle nostre carriere. Tralasciando i sacrifici che stiamo ancora facendo, ogni delusione e ogni momento difficile porta con sé insegnamenti ed esperienze che ci serviranno successivamente per diventare più forti e combattivi".

Andrete a Tokyo?

"Impossibile dirlo, ora. Le selezioni del team azzurro non ci saranno prima di luglio, quindi per ora stiamo lavorando duramente per cercare di centrare questo ennesimo sogno".

Avete mai subìto discriminazioni o condizionamenti sul piano sportivo, per via delle vostre disabilità?

E: "Finora il maggiore condizionamento per me è stato quello di non poter, insieme a atleti che vivono la mia stessa disabilità, confrontarmi alla pari. Purtroppo il processo di classificazione e il successivo raggruppamento delle categorie all'interno delle gare necessita di molto (troppo) tempo e questo, a volte, va a scapito del fair play. Non avere la possibilità di esprimere il proprio potenziale e di vivere lo sport fino in fondo nella sua essenza non è bello e soprattutto ti pone in una posizione di svantaggio, lì dove invece dovresti avere pari opportunità".

A: "Per me uno scoglio è stato la tutela della maternità, così da continuare serenamente il mio percorso sportivo. Per le donne non è semplice avere un bambino, e a maggior ragione per coloro che praticano sport, perché dopo bisogna avere il tempo per rimettersi in forma. Non si dovrebbe essere costrette a scegliere tra carriera sportiva e figlio, due priorità che, per quanto differenti, sono parimenti importanti per la realizzazione umana".

<img src="https://www.repstatic.it/content/nazionale/img/2021/04/12/180949041-169bbb30-04c1-4fe5-9dc0-7f3090fff969.jpg" alt=""> Emanuele Di Marino e Arjola Dedaj

Avere un figlio ha limitato in qualche modo la vostra carriera sportiva?

"Sicuramente avere un bimbo è stata la medaglia più bella che potessimo ricevere, non esiste niente di minimamente paragonabile, ma la nostra carriere sportiva, inevitabilmente, ha subìto alcuni aggiustamenti per via delle tempistiche e delle esigenze del piccolo. Avere un bambino comporta, ovviamente, il fatto di non potersi più spostare con facilità o di non potersi allontanare da casa per più di due giorni. Abbiamo ritmi sicuramente più frenetici e a volte dobbiamo anche allenarci separatamente, ma cerchiamo di fare il possibile per fare una vita da atleti professionisti, conciliando allo stesso tempo lavoro (Ema è un avvocato praticante ed Arjola una dipendente, nd.r.) ed esigenze familiari".

Progetti per il futuro?

"Cercare di centrare entrambi la nostra seconda Paralimpiade, in primis. E poi raggiungere una stabilità economica, cosa che attualmente purtroppo manca. Abbiamo e stiamo facendo enormi sacrifici, economici e personali, per portare avanti la nostra carriera sportiva in un mondo dove non è sempre facile trovare partners che vogliano investire e credere in un progetto. Se da una parte abbiamo la fortuna di aver incontrato aziende come l'azienda Allianz Partners, che da anni ci supporta e crede in noi, o Diadora, che ci segue dal punto di vista tecnico, dall'altra sarebbe bello trovarne altre disposte ad avvicinarsi al mondo paralimpico. La pandemia sicuramente non ha aiutato il marketing e gli investimenti, ma noi andiamo avanti col sorriso, facendoci forza l'un l'altro, con amore, come abbiamo sempre fatto".

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